https://it.wikipedia.org/wiki/Gyakusatsu_kikan
Gyakusatsu kikan (虐殺器官) aka Genocidal Organ fantascienza, fantageopolitica, guerra e|al terrorismo, dramma, cose così
Primo film tratto dalle opere di Project Itoh, anzi, proprio dal romanzo con cui ha debuttato.
Lo scenario è quello di un possibile futuro prossimo venturo, dove la ricerca della completa sicurezza comporta un tradeoff con una minore libertà personale; il tutto fatto partire dall'attacco dell'11 settembre.
Le sfaccettature sono molteplici, dall'esistenza di una Forza Speciale (di cui il protagonista fa parte), a quella di un underground che si nasconde tra le pieghe della Sorveglianza onnipresente (questo aspetto mi fa tornare in mente il progetto Anopticon ^_^; ).
La tecnologia mostrata è molto verosimile (nel senso letterale del termine): nanomacchine, materiali compositi, bioingegneria... Niente che non sia immaginabile già oggi, niente tecnobubbole ;)
Sull'altro lato abbiamo considerazioni con minore background scientifico e più in quello filosofico :D
Qualcosa che ricorda la programmazione neurolinguistica agli steroidi, legata a pattern neurali codificati dall'evoluzione darwiniana direttamente nel DNA. Nientemeno.
Opere correlabili che mi vengono in mente, così, su due piedi, sono Snow Crash di Neal Stephenson e Guerreros di William Gibson.
La vicenda ci accompagna al protagonista nella sua evoluzione, durante l'"inseguimento" dell'antagonista e la curiosità intellettuale nei suoi confronti.
Durante i colloqui, ci sono frequenti riferimenti letterari, in particolare a Kafka.
Molto interessante la resa visuale dei combattimenti, praticamente delle sessioni di FPS, grazie alla tecnologia militare delle lenti AR (liquide! maggìa delle nanomacchine!) e il controllo neurofisiologico ed emotivo da parte degli impianti cerebrali (di nuovo nanomacchinette).
Guerra e atrocità ridotte a un gioco distaccato, dunque; e purtuttavia, già all'inizio, i personaggi fanno considerazioni sul fatto che tale distacco artificialmente indotto non può controllare la creazione di un Inferno dentro di sé, che quindi non ci si può lasciare indietro.
Una delle sequenze più riuscite è, per me, quella ambientata nella savana, di notte; forse perché la scena buia consente di lasciare all'immaginazione dello spettatore il riempimento dei vuoti lasciati da quello che s'intravvede.
Ma sapere cosa far intravvedere, anche quella è arte.
Trivia.
Nella primissima inquadratura, in primo piano, e nelle altre inquadrature di Sarajevo si vedono delle macchie rosse nella pavimentazione delle strade. Sono le cosiddette "rose di Sarajevo", ossia buche provocate dallo scoppio dei proiettili (granate e bombe) e poi riempite con resina rossa, qualcuno dice in ricordo della tragedia, altri per mera disponibilità dei materiali.
Col tempo, con la sostituzione dell'asfalto, vengono rimosse (ci si potrebbe fantasticare una rimozione emotivo-cognitiva, ma rischiamo di andare sul cinico :D )
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